venerdì 1 novembre 2013

Estrema Protesta in Mnemosine




                                                                                                                                                    
Estrema protesta.
E come può non essere altrimenti… mala tempora.
Tre generazioni che faticano in una salita per raggiungere il benessere economico; la scalata verso il prestigio sociale. Non ci sono re, ma umili che diventano i protagonisti anonimi della società.
Nel libro ho voluto far emergere la spettacolarità “filmica” nelle pagine affettive; ovviamente in loro compare la componente soggettiva. Per il canovaccio mi sono documentato ed ho riportato la storia vera, pur camuffando nomi e luoghi: il fatto di cronaca è uno dei tanti.
Le pagg. struggenti, dolorose, “padre, madre, nonno, equitalia, debito, la forza pubblica, sono in fondo dei veicoli per sottolineare ancor più l’induzione all’estrema protesta e indirettamente -nella comparazione ieri oggi- l’accusa al sistema “sconveniente”.
Rispetto altri miei lavori emerge la notevole differenza linguistica: il linguaggio massimamente usato è colloquiale - gergale, per facilitare la diretta fruizione cognitiva del messaggio.                     Vincenzo  Baratella.
 Preludio della tragedia
   E‘ solitamente per caso che inizia un lungo cammino mentale composto da giustapposizioni, un flusso di coscienza, fatti  consequenziali, momenti del vissuto, idee, frammenti. Ci si trova indaffarati a districare questo disordine. Una fabula umana nota, arcinota, ma l’intreccio si dipana sempre nuovo, inatteso, sfugge talvolta all’ovvietà e racconta la vita come se si trattasse di un film, fa credere al protagonista  di esserne  il regista. Il suo destino: la famiglia, il lavoro che si è costruito.
La parte dell’eroe è assicurata, non ci sono comprimari; è convinto di seguire la trama che ha predefinito, tuttavia l’interscambio con i massimi organismi sociali limita e condiziona. I colpi di scena susseguono, non sa gestirli; sembra che ci sia qualcosa oltre quel problema e continua a lottare eroe: “senza macchia e senza paura” con il coraggio, la perseveranza, la dignità, l’onestà, ma… non bastano le armi morali se vi sono difficoltà economiche.
Le banche esigono ben altri eroi, vincoli, oneri da rispettare al di sopra di tutto e di tutti. Non si è più persona, ma debito insoluto, un cliente non più affidabile, inadempiente che aumenta “la sofferenza” dell’istituto finanziario”.
 Il protagonista-regista si identifica con questa “sofferenza”, non più questione di denaro, ma di dignità irrimediabilmente ferita. Da qui inizia a prendere forma una scelta senza ritorno, la negazione di sé per affermare se stesso, fibra necessaria nel contesto della quotidianità. L’affabulazione degli avvenimenti in prima persona è un susseguirsi di ricordi velocissimi. Il protagonista rivive, in una serie di associazioni di idee, tutta  la propria esistenza: l’educazione ricevuta, la forte valenza formativa  peculiare delle  sintetiche frasi, fonte di saggezza e di esperienza, pronunciate  dai nonni e rinfrancate  dai genitori.
La pratica quotidiana del sacrificio e della soddisfazione per il proprio lavoro si contrappongono alla freddezza dell’interesse politico, alle piccole convenienze di chi gestisce la cosa pubblica, a chi ha prerogative camaleontiche. E’ indubbiamente difficile trovare le espressioni appropriate per smascherare il gioco subdolo di questa realtà; nella mente rimane un inestricabile pensiero. L’unica testimonianza di questa profonda angoscia è costituita da una parola: PERDONO.
 La voce del protagonista è la lettera mai scritta, annuncio della tragica fine. Il solo modo per dare visibilità a questo percorso esistenziale.
Nell’impegnarsi a parlare di una vita non significa semplicemente esporre una vicenda individuale, ma il continuum di vari momenti che costituiscono la storia con la  S maiuscola  scritta  da un Nevio, Sallustio e non solo grandi avvenimenti come in Ennio, Livio …. L’esercizio più difficile è trasporre con parole efficaci, sentimenti, pensieri, fatti vissuti da individui che non sono personaggi storici, eroi, ma hanno costruito la loro storia e quella dei manuali anche solo con una foto nel fondo pagina.
Raccontare senza tradire, come nel “mestiere“ di storico, testimoniare la verità, raggiungere l’obiettività  non  solo dei  fatti, delle vicende accadute, ma anche e soprattutto dei sentimenti dei protagonisti, del tempo vissuto, in cui sono nati e si sono evoluti.
L’applicazione continua della memoria è un ripescaggio interiore e del proprio tempo non tanto per ricordare o far rimembrare quanto piuttosto scuotere le menti, i cervelli, non è cosa certa parlare ancora di coscienza (forse solo la gente comune ne rammenta il significato). La realtà procede spietatamente senza guardare negli occhi nessuno, né onestà, né disonestà: valgono i soldi contanti, i bancomat …
Non ci sono ideali perché non esistono più né coscienza, né anima; è troppo duro procedere secondo le regole, guardarsi dentro non è esercizio fattibile da tutti, si può rimanere invischiati in un’autoanalisi che può scardinare i comportamenti più liberi, disinibiti (libertini è un termine troppo intellettuale, elegante); queste cose non ci sono più, c’è solo l’ostentazione dell’avere e quindi di poter fare, mettere in atto qualsiasi cosa.
L’uso del verbo alla terza persona emerge nella cronaca della mesta cerimonia; la voce narrante sostituisce il protagonista. E’ il preludio della tragedia: mimesis catartica di una vita.

Agosto 2013
                                                                  Emanuela   Prudenziato






RIFLESSIONI SU “ESTREMA PROTESTA

Relatore: Artista prof. Toni Zarpellon

“Sala Celio” della Provincia di Rovigo, 19 ottobre 2013.



Ringrazio Vincenzo Baratella per aver scritto il libro “Estrema protesta”. Libro che ho letto e riletto e che continuo a sfogliare sottolineando alcuni passaggi e acute riflessioni per un processo di identificazione che avviene quando, in ciò che si legge, ritroviamo parte di noi stessi che si chiarifica e prende forma rendendoci consapevoli delle nostre inquietudini esistenziali per liberarcene.
Esso è un affresco degli ultimi cinquant’anni di storia italiana dove la storia personale del protagonista si intreccia con la storia collettiva plasmata da persuasioni occulte con tutti gli intrighi e manovre politico-finanziarie praticate sempre in nome della democrazia e della presunta felicità consumistica.
Un libro che rimarrà come testimonianza di una parabola che dall’inizio trionfalistico arriverà al suo declino e collassamento.
E’ una prosa che ti tira per la giacca per riportarti alla realtà dell’esistenza. Realtà drammatica a volte mitigata da un’amara ironia per meglio fissare lo sguardo sulla condizione umana.
Non so se si può parlare di realismo nel senso di una scrittura che mira a descrivere fatti concreti della vita. Sono tentato di rovesciare il termine parlando di “costruzione mentale” dove la realtà è filtrata attraverso la memoria nella solitudine della riflessione. Da qui la trasfigurazione poetica tramite un linguaggio asciutto dove la componente diaristica e forse autobiografica mi sembra costituisca il filo conduttore delle scansioni spazio-temporali dei vari capitoli che compongono il libro.
Qualcuno ha detto che la storia cammina sulle gambe della cronaca. Dico questo per difendere (ma non credo ne abbia bisogno) il lavoro di Baratella dai possibili attacchi di chi potrebbe vedere nel suo libro un taglio cronachistico perché troppo vicino a fatti non ancora sedimentati nel tempo. Sembra che lo storico debba parlare solo di cose lontane, svincolate da un coinvolgimento personale.
Baratella parla invece di fatti che sono avvenuti intorno a lui o che ha vissuto personalmente. Un lavoro importante per lo storico di domani che dovrà parlare di ciò che è avvenuto oggi. Egli dovrà fare i conti proprio con il contributo di chi è stato testimone diretto di ciò che è avvenuto. Solo un soldato che è stato coinvolto in prima persona in un campo di battaglia può dire che cos’è la guerra. Gli altri solo per sentito dire.
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L’estrema protesta di Vincenzo Baratella, indignato e pessimista.


Elisabetta Zanchetta


L'eternità è un valore accettabile soltanto per chi prova un sentimento religioso. II denaro, la corsa al potere, all'accaparramento, ma anche più sempli­cemente e con profondo sacrificio l'impegno per realizzarsi, l'investire sulle proprie capacità, le conquiste sono tutte cose che hanno il sapore del quotidiano. Capita, però, che nella comparazione tra ieri e oggi qualcosa strida e faccia sfociare l'accusa verso un sistema "sconveniente", fatto di finzioni, apparenze, medianicità, sofferenze interiori, gioghi mentali. Ecco che ne nasce un grido, ”Estrema protesta", ultimo lavoro letterario di Vincenzo Baratella, insegnante di lettere e titolare della galleria d'arte Mosé di via Fiume. Una denuncia, la sua, con semplicità, un linguaggio immediato e accattivante, di una "società in cui tutti siamo vessati, dove alla scalata della famiglia verso il benessere succede poi la crisi e il miraggio del posto fisso si risolve nell'ennesima promessa senza fonda­mento", fra cronaca e sentimento. Baratella mette nel libro la storia degli umili che diventano protago­nisti anonimi della società, storie vere sotto falso nome, a cui si intreccia nell'aspetto più filmico e spettacolare, anche l'esperienza quotidiana persona­le. Un grido pessimista e forte che vuoi far giungere al lettore un messaggio: occorre reagire per sma­scherare ogni gioco subdolo della consolidata realtà.
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