lunedì 11 novembre 2019

Mosè Baratella, centenario

Mosè Baratella, 
Pontecchio Pol. 17.11.1919, Rovigo 23.4.2004
Celebrazioni del centenario con retrospettiva allo Studio Arte Mosè di Rovigo
dal 2.11.2019 al 30.11.2019
Curatrice della rassegna Emanuela Prudenziato
 Baratella Mosè, autoritratto
MOSE’ BARATELLA: 1919
ARTISTA DEL SECOLO BREVE
Una data che a scriverla suscita il sorriso, sembra un gioco ripetere dei numeri per ottenere un effetto visivo particolare: l’uno assomiglia ad una persona ritta in piedi; i due nove ricordano i monocoli sul naso, nel vezzo austero di fin de siècle. Un’interpretazione che rimanda alle contraddizioni di due secoli: quella della nobiltà e della servitù ottocentesca contrapposta al secolo breve della borghesia e del proletariato. Nasce il 17 novembre;  importante ricordare che si tratta dell’anno subito dopo il primo conflitto mondiale, un’epoca che ha visto posizioni ideologiche scontrarsi per dare una soluzione concreta ai problemi del popolo sconfitto soprattutto dal punto di vista economico, sociale, dalla classe dirigente, da chi deteneva il potere e voleva dimostrare la propria forza e superiorità. Un discorso troppo lontano dalla realtà delle persone comuni, desiderose di avere semplicemente la possibilità di costruire il proprio avvenire in modo decoroso distaccato da velleità pindariche, rispettoso delle regole, dei diritti e dei doveri, anche se ancora definiti sudditi e non cittadini. Il pensiero della gente comune è molto chiaro e lineare perché possiede l’onestà morale (come si diceva una volta) del dire e del fare. Si tratta degli elementi che costituiscono la formazione di Mosè come uomo e come artista. Non ultimo l’approccio alle convinzioni religiose vissuto intimamente nel modo più puro: quello del Vangelo, senza ostentazione di accettazione o ricusa di nulla, ma testimoniato con la vita in modo autentico. Ha vissuto la prima giovinezza durante il fascismo e il secondo conflitto mondiale. Tutto ciò non ha condizionato la personalità e il suo pensiero; è rimasto sé stesso senza compromessi, difendendosi dalle continue vessazioni politiche con ironia, capacità e determinazione d’animo. Al termine del ventennio, nell’Italia liberata che ha visto il cambio repentino nel colore delle camicie è stato un narratore obiettivo ed imparziale dei fatti accaduti e vissuti in prima persona. Grazie alla pittura si è manifestato critico delle improvvise metamorfosi politiche e degli atteggiamenti buonisti per interesse particolare. E’ rimasto moralmente ferito per la sua coerenza, come coloro che agiscono senza secondi fini e con lealtà. Compare la simbiosi di uomo-Artista coerente, scevro da melliflui compromessi e dall’adattamento di comodo agli schieramenti; tuttavia questo modus d’integrità morale ha frenato l’ascesa al successo nei ristretti circoli cittadini e nelle conventicole. In effetti vale anche per Mosè il nemo profeta in patria; ebbe riconoscimenti e gratificazione per la sua arte in altre città. Venezia, Verona, Padova, Ferrara gli attribuirono gli onori che meritava per un’esistenza spesa interamente per l’arte. In effetti sin da bimbo il vecchio maestro Sebastiano scorse in lui un ineguagliabile talento nella pittura ed un disegno fluido e deciso. Quante madonnine fu costretto a dipingere, olio su carta, per quel benedetto maestro! Negl’anni del fascismo, dopo alcune esperienze che lo possono affiancare ai futuristi, rinnegò l’arte marinettiana avvezza al cambiamento di parte per abbracciare  il realismo accademico  con influenze dalle tematiche sociali che giungevano da oltre cortina. Gli anni sessanta lo portarono ad indagare sulla funzione della luce soprattutto nella natura morta che doveva prioritariamente far affiorare dai colori i profumi e la consistenza degli elementi rappresentati e liberò gli oggetti dalla costrizione accademica dei contorni: la luce doveva definire i corpi. La figura umana con un rigoroso studio dell’anatomia artistica  fu e rimase per sempre un altro dei soggetti preferiti; sono da menzionare gli innumerevoli ritratti, le figure negl’interni che realizzò. L’accumulo d’esperienza  sia attraverso l’esercizio quotidiano del dipingere e disegnare, sia nel raffronto con i maestri contemporanei e del passato che gustava, condivideva o dissentiva nelle superbe rassegne d’arte nazionali. Il cambiamento epocale degl’anni settanta, con le lotte studentesche, la questione operaia, i temi sociali quali il divorzio, l’aborto, fu  uno dei motivi ispiratori per una pittura fuori dagli schemi usuali  che tanto rimanda nella forma all’espressionismo  tedesco  e all’oggettività, per poi continuare fino agl’anni imminenti la morte a una figurazione personalissima. Le sue visioni del mondo possono ben dirsi anticipatrici di un globalismo in cui il nihilismo diventa motivo propulsore del dibattito sulle incertezze. Dall’osservazione delle opere, siano esse oli o grafiche, si inizia a conoscere Mosè, a dialogare, a discutere dei problemi, delle contraddizioni, dei moralismi, delle falsità perbeniste, della smania di potere, delle prevaricazioni dei diritti, dei soprusi, delle cattiverie, meschinità della vita che tutti conosciamo, ma esiste anche chi finge di non vedere. E’ proprio questo che l’Artista sottolinea, soprattutto con realizzazioni grafiche molto efficaci. Nelle opere ad olio si rilevano momenti poetici particolari. Le nature morte parlano del privato. I ritratti evidenziano il carattere e lo spirito di chi immortalava. Dai numerosissimi autoritratti, oltre un centinaio di soli oli, emerge da ognuno il carattere  in sintonia con la situazione del vissuto personale; ci sono la rabbia, la gioia, lo sbigottimento, la perplessità, la riflessione, la sofferenza all’unisono con i peculiari momenti dell’esperienza dell’artista nel suo inserimento nei contesti mutevoli della società siano essi nel costume, nelle rivolte, nei cambiamenti politici e nelle ingiustizie sociali. I paesaggi trasmettono l’atmosfera che lo ha ispirato, lo stato d’animo, ma anche la sensazione del clima (piccolo quadro di donna in piedi sulla spiaggia con asciugamano e i capelli biondi raccolti). L’uso dei colori rispecchia la personalità di Mosè, l’interpretazione di ciò che lo circonda, il senso della leggerezza di un fiore, la trasparenza di un vetro, mai convenzionale, sentita, vissuta, il profumo delle arance, il sapore del cibo in un disordine “ordinato” della quotidianità familiare, complice fonte d’ispirazione. ©Emanuela Prudenziato

Prolusione di Emanuela Prudenziato

lunedì 30 settembre 2019

GIAPPONISMO Venti d'Oriente nell'arte europea. 1860 - 1915

GIAPPONISMO
Venti d'Oriente nell'arte europea. 1860 - 1915
Rovigo, Palazzo Roverella
28 settembre 2019 - 26 gennaio 2020
Mostra a cura di Francesco Parisi
Sul finire del XIX secolo la scoperta delle arti decorative giapponesi diede una notevole scossa all'intera Arte europea. Un potente vento di rinnovamento, se non proprio un uragano, che dall'Oriente investiva modelli, consuetudini stratificate nei secoli, conducendo l'arte del Vecchio Continente verso nuove e più essenziali norme compositive fatte di sintesi e colori luminosi. La svolta avvenne quando, all'inizio degli anni '60 dell'Ottocento cominciarono a diffondersi in Europa, e principalmente in Francia, ceramiche, stampe, ed arredi da giardino dall'Impero del Sol Levante che, pochi anni addietro, nel 1853, si era aperto al resto del modo. Le prime xilografie si diffusero, dapprincipio, grazie al commercio di vasi e ceramiche, con cui questi venivano "avvolti" e "impacchettati". I preziosi fogli erano spesso i celebri manga di Hokusai o altre brillantissime stampe di Utamaro e Hiroshige che tanta influenza ebbero sugli Impressionisti, sui Nabis, fino alle Secessioni di Vienna e Monaco per concludere il loro ascendente con i bagliori della Grande Guerra trasformandosi in un più generico culto dell'oriente nel corso degli anni 20 e 30 del Novecento. La moda giapponista, esplosa attorno al 1860 e destinata a durare almeno un altro cinquantennio coinvolse dapprima la ricca borghesia internazionale, ma soprattutto due intere generazioni di artisti, letterati, musicisti e architetti, trovando via via sempre più forza con l'innesto della nascente cultura e Liberty e modernista sempre più attenta ai valori decorativi e rigorosi dell'arte giapponese. Il taglio che Francesco Parisi ha scelto per descrivere questa effervescente pagina della storia dell'arte europea e mondiale nella grande mostra "Giapponismo, Venti d'Oriente nell'arte europea. 1860 - 1915" {Rovigo, Palazzo Roverella, dal 28 settembre 2019 al 26 gennaio 2020, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione con il Comune di Rovigo e l'Accademia dei Concordi) è decisamente originale mappando, per la prima volta, le tendenze giapponiste dell'Europa tra Ottocento e Novecento: dalla Germania all'Olanda, al Belgio, dalla Francia all'Austria, alla Boemia, fino all'Italia. Nelle 4 ampie sezioni in cui è dipanato il racconto, egli affianca originali e derivati, ovvero opere scelte fra quelle che giungendo dal Giappone divamparono a oggetto di passioni e di studi in Europa, accanto alle opere che di questi "reperti" evidenzino la profonda influenza. Pittura e grafica, ma anche tutto il resto, dall'architettura, alle arti applicate, all'illustrazione, ai manifesti, agli arredi. A dar conto, per la prima volta in modo organico, di quanto capillarmente e profondamente quel Giapponismo sia entrato nei corpo della vecchia Europa. Quattro sezioni, quante furono le grandi Esposizioni Universali che in quei decenni contribuirono, grazie alla presenza dei padiglioni giapponesi, a svelare ed amplificare il nuovo che giungeva da così lontano, da quel luogo misterioso e magico. Dall'esposizione londinese del 1862, dove i "prodotti" del Sol Levante debuttarono, a quelle parigine del '67 e '78, che ebbero nelle proposte il loro elemento di maggiore attrattività, fino all'esposizione del cinquantennale dell'Unità d'Italia del 1911 che ebbe una vasta influenza su molti artisti delle nuove generazioni. Accanto ai capolavori di Gauguin, Toulouse Lautrec, Van Gogh, Klimt, Moser, James Ensor, Alphonse Mucha si potranno ammirare le tendenze giapponiste nelle opere degli inglesi Albert Ivloore, Sir John Lavery e Christopher Dresser; degli italiani Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Antonio Mancini, Antonio Fontanesi e Francesco Paolo Michetti con il suo capolavoro La raccolta delle zucche- e ancora i francesi Pierre Bonnard, Paul Ranson, Maurice Denis ed Emile Galle; i belgi Fernand Khnopff e Henry Van De Velde.     [comunicato stampa]
Francesco Parisi curatore della rassegna - Catalogo SilvanaEditoriale

lunedì 23 settembre 2019

Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa 21 settembre 2019 – 27 gennaio 2020

Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa
21 settembre 2019 – 27 gennaio 2020
A cura di Karole P. B. Vail con Gražina Subelytė
Collezione Peggy Guggenheim
Momento della conferenza stampa. Da sin. Francesca Lavazza e Karole P. B. Vail
Con la mostra Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa, a cura di Karole P. B. Vail, Direttrice della Collezione Peggy Guggenheim, con Gražina Subelytė, Assistant Curator, dal 21 settembre 2019 al 27 gennaio 2020 il museo celebra la vita veneziana della sua fondatrice, scandendo tappa dopo tappa le mostre e gli eventi che hanno segnato trent’anni trascorsi in laguna, dal 1948 al 1979. Sono esposte una sessantina di opere di artisti noti e meno noti, tra dipinti, sculture e lavori su carta, selezionate tra quelle acquisite nel corso degli anni quaranta e il 1979, anno della scomparsa di Peggy Guggenheim. E’ una opportunità di rivedere celebri capolavori come L’impero della luce (L’Empire des lumières) di René Magritte e Studio per scimpanzé (Study for Chimpanzee) di Francis Bacon, accanto ad opere raramente esposte, come Autunno a Courgeron (L'Automne à Courgeron) di René Brô, Serendipity 2 di Gwyther Irwin, e ancora Sopra il bianco (Above the White),di Kenzo Okada e Deriva No 2 .(Drifting No. 2) di Tomonori Toyofuku. Le sale di Palazzo Venier dei Leoni ospiteranno la maggior parte delle opere acquistate tra il 1938, quando a Londra Peggy apre la sua prima galleria Guggenheim Jeune, e il 1947, anno in cui si stabilisce a Venezia, un’occasione per vedere esposta quasi nella sua totale interezza la storica collezione, inclusi capolavori come Scatola in una valigia (Boîte-en-Valise), realizzata da Marcel Duchamp nel 1941 proprio per Peggy. Nel 1948 Peggy Guggenheim viene invitata a esporre la sua collezione alla XXIV Biennale di Venezia: è la prima presentazione della collezione in Europa dopo la chiusura della galleria-museo newyorkese Art of This Century e il trasferimento in Italia. Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa si apre con un omaggio a questo evento divenuto epocale: i lavori allora esposti negli spazi del padiglione della Grecia furono i più contemporanei di tutta la Biennale, soprattutto per la presenza di opere dell’Espressionismo astratto americano e il debutto in Europa di Jackson Pollock. Ad aprire il percorso espositivo saranno dunque proprio le opere di Arshile Gorky, Robert Motherwell, Mark Rothko e Clyfford Still.
 Una doverosa citazione della prima mostra di scultura contemporanea che Peggy Guggenheim organizza a Palazzo Venier dei Leoni nel settembre del 1949, di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario, in cui esposeTesta e conchiglia (Tête et coquille) di Jean Arp,  Uccello nello spazio (L'Oiseaudans l'Espace) di Constantin Brancusi, Piazza di Alberto Giacometti. La seconda fase del collezionismo della mecenate è rappresentato da una serie di lavori di artisti italiani attivi alla fine degli anni ’40: Edmondo Bacci, Piero Dorazio, Tancredi Parmeggiani, Giuseppe Santomaso ed Emilio Vedova. Nel corso degli anni ’50 Peggy Guggenheim sviluppa interesse per l’arte del gruppo CoBrA, con artisti di Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam, da cui l’acronimo: Pierre Alechinsky, Karel Appel,e Asger Jorn, appartenenti al gruppo, accanto agli inglesi Kenneth Armitage, Francis Bacon, Alan Davie, Henry Moore, Ben Nicholson, Graham Sutherland. L’esposizione include un focus sull’Arte cinetica e Op art, genere che interessò particolarmente Peggy Guggenheim nel corso degli anni ’60, con i lavori di Marina Apollonio, Alberto Biasi, Martha Boto, Franco Costalonga, Heinz Mack, Manfredo Massironi e Victor Vasarely. Tutti utilizzarono forme geometriche, strutture e materiali industriali per creare effetti ottici e illusioni percettive, sfruttando le proprietà trasparenti e riflettenti di materiali quali l’alluminio, la plastica, il vetro, per dare ai propri “oggetti” un aspetto volutamente “spersonalizzante” in contrasto con l’emotivo linguaggio visivo dell’Espressionismo astratto. Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa è corredata da una pubblicazione sull’intero percorso di Peggy quale collezionista, mecenate e gallerista, dagli esordi londinesi della galleria Guggenheim Jeune, al capitolo newyorkese di Art of This Century e l’incontro con Jackson Pollock, la Biennale del 1948, e il ruolo che ebbe nell’esistenza della collezione di Palazzo Venier dei Leoni. Il volume, a cura di Karole P. B. Vail con Vivien Greene è una coedizione di Collezione Peggy Guggenheim e Marsilio Editori. La mostra rientra nell’ampio programma di celebrazioni con cui quest’anno il museo rende omaggio a un doppio anniversario: i 70 anni dal trasferimento a Palazzo Venier dei Leoni di Peggy Guggenheim e dalla prima mostra qui realizzata e i 40 anni dalla sua scomparsa. Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa è realizzata grazie al sostegno di Lavazza in qualità di Global Partner della Fondazione Solomon R. Guggenheim.  Foto soggette a ©.


LA GRANDE IMPRESA 1919.2019 Ligabue, cento anni della nostra storia.

LA GRANDE IMPRESA 1919.2019

Ligabue, cento anni della nostra storia.
Dal 22 settembre al 3 novembre 2019

Scuola Grande della Misericordia. Venezia
Self-made man. Definizione che si può attribuire con sicurezza ai componenti della famiglia Ligabue: il nonno Anacleto, il figlio Giancarlo –che ha proseguito l’opera del padre- e Inti, il nipote che con estrema competenza porta avanti l’azienda. Ligabue è un marchio conosciuto in tutto il mondo per l’abilità imprenditoriale, ma rappresenta anche un connubio con la cultura e la ricerca di cui è attivo promotore e finanziatore. L’eclettismo di Giancarlo ha saputo legare l’impresa con l’interesse per gli studi di archeo-antropo-paleontologia. Dai viaggi in tutto il mondo ha saputo raccogliere informazioni preziose sull’origine dell’uomo e delle diverse culture. Traguardo importante quest'anno per la Ligabue Spa -tra i leader mondiali del catering e dell'approvvigionamento navale- che celebra nel 2019 il centenario dalla fondazione dell'azienda ad opera di Anacleto Ligabue, nonno dell'attuale Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo, Inti Ligabue. Con una mostra che ripercorre la storia dell'azienda, rievocando gli eventi del XX secolo, un cortometraggio animato d'autore, un volume monografico, conferenze e tante altre iniziative  partono i festeggiamenti il 22 settembre fino ai 3 novembre. Un momento atteso perché la Ligabue vuole condividere la sua storia con i collaboratori, i clienti e i partner internazionali, ma anche e soprattutto con la città, i giovani e i tanti amanti della cultura e dei vari settori di studio e attività dall'archeologia allo sport, dal collezionismo all'antropologia, dalla ricerca scientifica e medica all'alimentazione. Anacleto (Cadelbosco di Sopra 1894 - Venezia 1971) è il pioniere e il visionario; ha precorso i tempi con le sue intuizioni, estendendo l'attività al settore marittimo, inventando il contratto d'appalto e il servizio di catering quando questi non esistevano ancora e migliorando la qualità dei servizi a bordo e la vita di tante persone, per esempio con l'introduzione in nave dei forni di panificazione e delle celle frigorifere. Dopo il secondo conflitto mondiale ha saputo ripartire e ricostruire l'azienda quasi da zero. Famosi i premi fedeltà e puntualità per i dipendenti e le tante iniziative sociali promosse o sostenute come benefattore in favore di bambini, orfani, anziani. Giancarlo (Venezia 1931 - 2015) imprenditore, ma anche esploratore e uomo di ricerca ha acquisito un Dottorato in paleontologia alla Sorbona e cinque lauree honoris causa. A lui si deve l'internazionalizzazione e la diversificazione della Ligabue, che apre attività in diversi continenti, nel settore aereo, nelle piattaforme industriali on shore e off shore, in luoghi remoti e alle condizioni più estreme, come la spedizione in Antartide del 1985 per il catering della prima base permanente gestita da Enea e Cnr. Inti Ligabue (Venezia, 1981), laurea in economia all'Università di Bologna e Master alla Bocconi e all'Harvard Business School, è dal 2004 in azienda, dal 2012 Amministratore Delegato e dal 2016 Presidente della società e del Gruppo, che torna ai vertici internazionali rafforzando la presenza in luoghi strategici con importanti acquisizioni e nuove commesse.L'ultimo passaggio, recentissimo, lo vede anche armatore di una nave fluviale in costruzione destinata ai viaggi sul Danubio, che porterà il nome di sua figlia Diletta, quarta generazione Ligabue venuta al mondo proprio nell'anno del centenario. Emanuela Prudenziato.

sabato 7 settembre 2019

Collettiva di grandi maestri allo Studio Arte Mosè

Il segno veicolo dello spirito
Collettiva di grandi maestri

Studio Arte Mosè di Rovigo, Via Fiume,18

dal 07 al 26 settembre 2019
Lo Studio Arte Mosè riapre i battenti, dopo la pausa estiva, con una straordinaria rassegna di grafica di alcuni maestri del secolo scorso e contemporanei. Una ventina di opere sotto il denominatore comune: la comunicazione di sentimenti, di situazioni sociali, politiche e di costume che hanno caratterizzato la società. Sabato 7 Settembre 2019 alle ore 18  in via Fiume, 18 verrà  presentata la mostra intitolata IL SEGNO VEICOLO DELLO SPIRITO. La rassegna è curata da Vincenzo Baratella e da Emanuela Prudenziato. Protagonisti dell’evento sono alcuni artisti del secolo breve: Baratella, Berto, Calabrò, Caruso, Finotti, Forno, Magnolato, Marcon, Lilloni, Pizzinato,  Prudenziato,  Tonelli, Treccani, Tregambe, Zancanaro. Ciascuno di loro ha saputo interpretare la cultura, la mentalità, la sensibilità del ventesimo secolo con tutte le sue novità, contraddizioni, pulsioni verso la costruzione del futuro mai come prima nelle mani dell’homo sapiens sapiens. L’arte si è assunta una responsabilità testimoniale e creativa per esprimere la consapevolezza esistenziale dell’essere umano: la volontà di lasciare, comunicare qualcosa di sé attraverso l’elemento base dell’espressione che è il segno, immagine simbolica del pensiero, della realtà. Il segno come veicolo dello spirito, dell’emotività, dello stato d’animo espresso con il peculiare scopo di fissare, trasmettere la sensazione di un preciso momento di interazione dell’artista con se stesso e con il mondo. Una mostra di acqueforti, di disegni, di punta secca, di acquatinta nella quale si alternano tecniche e tematiche. Da questa rassegna lo Studio Arte Mosè avvia le celebrazioni per il centenario dell’artista rodigino che ha dato il nome alla galleria; Baratella Mosè è presente con due chine in antitesi per contenuti e perizia esecutiva: in una esibisce eleganza e in un’altra un mordace spirito satirico. Giampaolo Berto espone un’incisione degli anni Settanta di straordinaria intensità. Vico Calabrò, vicentino, noto al pubblico per le rassegne pregresse, pittore, affreschista di fama mondiale è in mostra con una Venezia di grande trasporto poetico. Ancora un’incisione di Bruno Caruso, scrittore, illustratore, già presente a numerose biennali d’arte di Venezia. Al noto siciliano si associa una caruseria, disegno di Tono Zancanaro. Non manca una rara grafica di Novello Finotti reduce dalla recente personale di Seul e attualmente a Matera. Alcune opere dello scultore veronese si ammirano a Santa Giustina e al Santo di Padova. Osvaldo Forno, una vita spesa tra insegnamento al Dosso Dossi di Ferrara e una feconda produzione artistica indirizzata alla ricerca. Le teste fasciate sono messaggi forti contro gli orrori bellici che hanno sconvolto il Novecento e le opere rilevano tutta la contraddizione dell’età sessantottina. Si aggiunge per il forte impatto emotivo e immediatezza esecutiva l’incisione di Francesco Magnolato, anch’egli unito nell’impegno di un’arte sociale al corregionale Armando Pizzinato, che nella collettiva di via Fiume vede presente un’incisione dai toni futuristi. Si accumuna per ricerca formale alla corrente marinettiana pure il nostro concittadino Angelo Prudenziato, celebrato in galleria con due retrospettive. Marcon Luigi, caro al pubblico rodigino sin dagli anni Ottanta. Famoso in Europa per aver raffigurato il paesaggio urbano di Landshut, nell’ottocentesimo anno dalla fondazione, ha ricevuto la cittadinanza onoraria; ha avuto l’onore di realizzare un francobollo per la posta tedesca. E’ nella rassegna con una acquaforte-acquatinta: un paesaggio dal quale fa emergere l’animo delle cose nella combinazione del chiaro-scuro. Delicati i volti rispettivamente femminile di Umberto Lilloni e maschile di Ernesto Treccani. Una prospettica immagine della campagna romagnola piantumata di gelsi fa parte della raccolta “Alberi” di Roberto Tonelli. Bresciano, ricordato dai suoi concittadini con un parco ed un museo alla memoria, Girolamo Battista Tregambe offre allo spettatore la minuziosa, nonché poetica, visione di un vigneto autunnale. La mostra è aperta alla stampa e agli estimatori dell’arte. La durata  dell’evento è di venti giorni: dal 7/9/2019  al  26/9/2019, dal lunedì al venerdì  dalle ore 16.30 alle 19.30 in via Fiume, 18.

venerdì 6 settembre 2019

DA TIZIANO A RUBENS. CAPOLAVORI DA ANVERSA E DA ALTRE COLLEZIONI FIAMMINGHE Venezia, Palazzo Ducale

DA TIZIANO A RUBENS.
CAPOLAVORI DA ANVERSA E DA ALTRE COLLEZIONI FIAMMINGHE

Venezia, Palazzo Ducale
Appartamento del Doge
5 settembre 2019 - 1 marzo 2020
A cura di Ben van Beneden, Direttore Rubenshuis
Direzione scientifica Gabriella Belli, Direttore Fondazione Musei Civici di Venezia
La mostra vuole narrare l’interscambio culturale, economico e nella specificità pittorico, librario, musicale e non da meno nell’arte della ceramica e del vetro che trova questo la sua specificità nella città lagunare e le relazioni di Anversa e Venezia a cavallo di due secoli. L'ambizione di Da Tiziano a Rubens. Capolavori da Anversa e da altre collezioni fiamminghe è riuscire a restituire il fermento culturale e economico che ha attraversato l'Europa tra il XVI e il XVII secolo, con il suo carico di storie e stili, opere e collezioni. In esposizione ci sono 140 pezzi che comprendono opere assenti da secoli in laguna dove furono prodotte, o mai esposte fino a oggi al pubblico, provenienti dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private di Anversa e delle Fiandre e da altri Musei e collezioni italiane e internazionali. Dodici opere di Peter Paul Rubens [1577-1640] sono in mostra, tra le quali il Ritratto di giovane donna con una catena, elegante e forte, rinvenuto solo una decina di anni fa e per la prima volta esposto al pubblico, e il monumentale San Francesco d’Assisi riceve le stimmate. Di Anthony van Dyck [1599-1641], che di Rubens fu erede, le opere in mostra sono sette, con i suoi ritratti vividi e immediati dalla forte caratterizzazione e abile pennellata, quali lo Studio per un ritratto di un alto funzionario di Bruxelles e il Ritratto di Johannes Malderus, anche questa opera di recente riscoperta qui esposta per la prima volta. Altrettanto notevole il Ritratto di dama con la figlia, celato da Tobia e l’Arcangelo Gabriele, composizione religiosa di un apprendista di bottega di Tiziano Vecellio, sulla tela incompiuta del Maestro.
Nel 1948 il quadro è stato radiografato nel Courtauld Institute e ripulito in un lungo restauro durato oltre 20 anni, riportando alla luce Milia, donna amata da Tiziano e la figlioletta. Tiziano morì il 27 agosto 1576, durante una terribile epidemia di peste. Nel 1581, il facoltoso nobile veneziano Cristoforo Barbarigo acquistò la casa dell’artista insieme al contenuto della sua bottega, incluso il Ritratto di dama con la figlia celato sotto “Tobia e l’Arcangelo Raffaele”. Il nobile acquirente espose le opere nel Palazzo Barbarigo nella Terrazza sul Canal Grande, nel sestiere di San Polo. Anche Rubens e Anthony van Dyck devono aver visto il “Tobia” durante la loro visita alla collezione, conosciuta come la “scuola di Tiziano”, che conteneva dipinti di tutte le fasi della carriera del maestro veneziano. Il “Tobia” faceva parte del gruppo di opere vendute dalla famiglia Barbarigo allo zar Nicola I di Russia nel 1850; in seguito, molti di questi quadri lasciarono la collezione imperiale. Il “Tobia” restò nella collezione del conte Tyszkiewicz a San Pietroburgo fino al 1913, prima di comparire sul mercato dell’arte. In mostra si può ammirare anche Jacopo Pesaro presentato a San Pietro da Papa Alessandro VI di Tiziano. Maerten de Vos [1532-1603], famoso come pittore di soggetti storici e ideatore di stampe, è presente con un importante nucleo di opere che comprende un tronie così chiamato olio su tavola, dipinto di getto e dal vivo, detto Studio di testa di uomo con la barba e il dipinto La calunnia di Apelle. Non mancano opere di Willem Key [1520ca-1568], Adriaen Thomasz Key [1545ca-1589ca] e Jacques Jordeans [1593-1678], presente con Il martirio di Sant’Apollonia, eseguito per la Chiesa degli Agostiniani di Anversa, e Amore e Psiche, considerato uno dei massimi capolavori dell'arte fiamminga. Nella seconda metà del XVI secolo Anversa fu protagonista degli scontri tra i protestanti del nord e i cattolici del sud guidati dalla Spagna, che nel 1585 conquistò la città. Il conflitto portò alla chiusura dei traffici navali sul fiume Schelda e fu la catastrofe economica. L'allontanamento dei mercanti comportò una fase di smantellamento che coinvolse anche la produzione degli studi e degli artisti, con migrazioni e riposizionamenti. La committenza nella parte meridionale dei Paesi Bassi continuò a sostenere il lavoro degli artisti, Chiesa, aristocrazia e borghesia non smisero il loro ruolo di committenti e collezionisti, mentre nella parte più a nord ci furono delle discontinuità. Anversa era l'epicentro della pittura fiamminga, ma anche a Bruges, a Gent con i caravaggisti, e soprattutto a Bruxelles. La pittura dell'intera regione fiamminga mostra una sorprendente varietà di stili e di temi. Theodoor van Loon [1582ca-1649] divenne uno dei primi caravaggisti nel sud dei Paesi Bassi. In esposizione Ritratto di due fanciulle come Sant'Agnese e Santa Dorotea, di Michaelina Wautier [1617-1689] una delle artiste donne degli inizi dell'età moderna.  Altra pittrice è Clara Peeters, con una Natura morta con formaggi e burro, aragoste, gamberi, pane e vino e una Natura morta con pesce, aragoste, gamberi e ostriche. Di lei poco si sa, se non che dipingeva ad Anversa ed era specializzata in tale genere. La natura morta era con i paesaggi realistici, le scene storiche, mitologiche e religiose e le scene di vita quotidiana uno dei generi più diffusi. Nei trionfi di carni e nelle tavole imbandite compaiono a volte dei vetri, testimoni del virtuosismo degli artisti e della presenza anche nei floridi mercati di Anversa dei famosi vetri veneziani. In mostra alcuni dipinti che li ritraggono, tra i quali il raffinato Natura morta di fiori in un vaso di Daniel Seghers [1590-19661] e la sontuosa Natura morta di frutta con un calice à la façon de Venise di Jan Davidsz De Heem [1606-1684] e oltre 30 pregiatissimi pezzi del XVI e XVII secolo provenienti dalle collezioni del Museo del Vetro di Murano. Dopo quasi 200 anni ritorna a Venezia la pala d'altare che Tintoretto dipinse per la chiesa di San Geminiano, edificata nel 1557 di fronte alla basilica di San Marco e demolita nel 1807 per volere di Napoleone; il dipinto è L'angelo annuncia il martirio a Santa Caterina d'Alessandria. L’opera passò a diversi privati; negli anni Ottanta fu acquistata David Bowie e alla sua morte da un collezionista che lo ha affidato in prestito alla Rubenhuis, il museo della Casa di Rubens.  Anversa nel periodo storico di maggior splendore ha avuto un’élite commerciale e politica che amava esibire il proprio status, con lusso e raffinatezza. Artisti, mobilieri, ceramisti, vetrai, tessitori, stampatori di libri e costruttori di strumenti musicali potevano contare su un fiorente mercato. Nelle case delle famiglie più benestanti si trovavano clavicembali e virginali prodotti nelle botteghe di Anversa. La più famosa e produttiva fu quella della famiglia Ruckers-Couchet. A Venezia facevano parte della comunità fiamminga numerosi musicisti; a uno di loro, Adrian Willaert, venne affidata dal 1527 al 1562 la cappella del doge, ovvero la Cappella della Serenissima Repubblica. Il fiammingo Adrian Willaert, circondandosi di validi musicisti fiamminghi e italiani portò nella musica occidentale numerose innovazioni, con uso di strumenti a fiato, quali quelli presenti in mostra e costruiti dai Bassano, che nella prima metà del Cinquecento si stabilirono a Venezia sia come suonatori che come costruttori di strumenti. La cultura tout court e in particolare quella musicale favorì lo sviluppo dell’editoria; un settore in cui si cimentò anche l'editore di Anversa Cristophe Plantin [1520-1589].
 Il Sindaco di Venezia, dottor Brugnaro, nel suo intervento in conferenza stampa, si dichiara soddisfatto per la mostra portata a Venezia capolavori provenienti dalle collezioni dei musei più importanti della Regione delle Fiandre: primo fra tutti il Rubenshuis – la Casa di Rubens, che ospita il museo a lui dedicato diretto dal curatore di questa mostra, Ben van Beneden. Altri musei della città di Anversa hanno contribuito in modo determinante con grandi capolavori: il Museo Reale delle Belle Arti di Anversa, il Museo Plantin-Moretus, la Biblioteca del Patrimonio Hendrik Conscience Heritage, il Museo Mayer van den Bergh, il Museo musicale Vleeshuis, il Museo della Casa di Snjiders & Rockox e il MAS, Museum aan de Stroom. Prestiti importanti sono giunti anche da altre città delle Fiandre, come Gent, Bruges, Lovanio. “Mai così tanti capolavori avevano lasciato le Fiandre -sostiene il sindaco- per trasferirsi presso un’unica sede all’estero. Una partecipazione eccezionale che Venezia accoglie con gioia e con orgoglio”. Mariacristina Gribaudi Presidente Fondazione Musei Civici di Venezia e Gabriella Belli, Direttore Fondazione Musei Civici di Venezia, sono orgogliose della cooperazione internazionale che la Fondazione Musei Civici di Venezia ha già avviato nel corso delle passate esposizioni a Palazzo Ducale, da Tintoretto nell’inverno 2018 a Canaletto nella primavera 2019, continua raccontando un altro interessante episodio dell’irradiarsi della cultura veneziana nel mondo. Mariacristina Gribaudi sostiene: “Con la mostra Da Tiziano a Rubens. Capolavori da Anversa e da altre collezioni fiamminghe viene portata alla conoscenza del grande pubblico una fase straordinariamente felice dei rapporti tra Venezia e le Fiandre”. Nabilla Ait Daoud, Vice sindaco con delega alla Cultura nella  Città di Anversa, sottolinea il legame dei porti di Anversa e Venezia, fin dal Medioevo. Ben van Beneden, Direttore Rubenshuis, ricorda che nel novembre del 2016 il dipinto la Visione di Santa Caterina era diventato noto come "Il Tintoretto di Bowie", è stato dato in prestito a lungo termine al Rubenshuis. Il Museo della casa di Rubens acquisì temporaneamente pure il Ritratto di dama con la figlia di Tiziano. Ora queste due opere possono essere ammirate fino al 1 marzo del prossimo anno nella loro città natale, Venezia. Vincenzo Baratella.

giovedì 27 giugno 2019

58^ BIENNALE ARTE VENEZIA in Mnemosine

58^ BIENNALE ARTE VENEZIA
ARSENALE  
Dall’11 maggio al 24 novembre 2019
J. ANDRIANOMEARISOA  “HO DIMENTICATO  LA NOTTE”
Joel Andrianomearisoa, nato in Madagascar nel 1977, è un  artista malgascio   impegnato  per lo sviluppo culturale e artistico del  suo Stato. Ha frequentato inizialmente  la scuola di disegno del suo paese  e in seguito  si è recato in Francia alla Special School of Architecture di Parigi. Qui si laurea  nel 2005  in architettura con  un progetto  inedito grafico e tessile. Nel corso della sua carriera  espone  lavori  presso importanti istituzioni culturali internazionali come Hamburger Bahnhof a Berlino, Smithsonian a Washington, Centre Pompidou a Parigi. Le opere  di Joel Andrianomearisoa sono state realizzate con  diversi mezzi e materiali: tessuti, carta, legno, minerali o da oggetti  impensati, ma con un profondo significato simbolico. Al padiglione dell’Arsenale  l’artista  esprime  il senso del dramma per mezzo  di fogli di carta nera che  scendono a pioggia dal soffitto. Questo artista  rappresenta  una modalità  comunicativa  nuova nata ed evolutasi in un territorio artisticamente  trascurato.  In tal senso la presenza per la prima volta  del Madagascar alla Biennale di Venezia  permette di conoscere e comprendere  la potenzialità dell'arte malgascia. Da rilevare che  la partecipazione  di quest’isola africana  a Venezia  si deve al Gruppo Filatex che  grazie al Fondo per  la Cultura si è posto l’obiettivo di  far conoscere l’arte e la cultura  del Madagascar in quanto  la sinergia arte-cultura  costituisce un punto di forza  per un vero sviluppo. Emanuela Prudenziato


700 VENEZIANO Padova, Pontificia Basilica del Santo – Biblioteca Antoniana in Mnemosine

700 VENEZIANO   
Opere dalla Collezione Gallo Fine Art
Padova, Pontificia Basilica del Santo –
Biblioteca Antoniana 15 giugno - 6 luglio 2019
Mostra curata da  Fabrizio Magoni
Momento della presentazione della mostra con i curatori
700 VENEZIANO

L’esposizione è collocata in uno spazio solitamente dedicato alla ricerca storica e frequentato da studiosi. Si tratta di un luogo a stretto contatto con la realtà conventuale francescana, ma ciò non desta più di tanto stupore in quanto, da sempre, la Chiesa si è occupata di cultura a più ampio spettro. Le opere esposte fanno parte di una  collezione privata che ha una collocazione storica particolare: il 700 Veneziano. Il secolo dei lumi: quadri che rivelano sintonia con la cultura, la mentalità, la filosofia del tempo e l’aggettivo veneziano, un riferimento alla Serenissima, con la sua posizione peculiare nella politica, nell’espressione artistica settecentesca. Testimonianze significative di tale periodo, per citarne solo alcune, sono: Rosalba Carriera, ( veneta, nativa di Loreo) Luca Carlevarijs, Giambattista Piazzetta, Giuseppe Zais, Maestro del Ridotto,  ( Interessante l’opera di quest’ultimo artista, poiché ricorda  lo stile e le tematiche affrontate da Longhi)  Lorenzo Tiepolo, Ciardi, Guardi.
Pastello di Rosalba Carriera
"CORONELLI  E  IL  SUO  TEMPO "



Nella sala della Biblioteca Antoniana  è presente anche la mostra “Coronelli e il suo tempo” curata dal Direttore della Biblioteca Padre Alberto Fanton e dal Dott. Alessandro Borgato consulente della Veneranda Arca del Santo per la Pontificia  Biblioteca Antoniana. L’argomento dell’esposizione, in contemporanea con il 700, riguarda l’ambito geografico e cartografico. Sono presenti due globi: uno dedicato al cosmo, alla sua rappresentazione collegata alle conoscenze del tempo, un misto fra astronomia e astrologia, ed un altro  raffigurante la superficie terrestre. L’autore Vincenzo Coronelli,veneziano, (1650-1718) era un frate francescano, cosmografo ufficiale di Venezia, fondatore dell’Accademia degli Argonauti. Alcune sue opere sono: l’Atlante Veneto, L’isolano, Corso di geografia. Interessanti rappresentazioni del modo di allora, l’inizio di un interesse a capire, conoscere la realtà circostante nella sua interezza senza condizionamenti. Emanuela Prudenziato

58^ Biennale Arte Venezia in Mnemosine

 58^ Biennale  Arte Venezia
dall’11 maggio al 24 novembre 2019
 Arsenale 
Michael Armitage
Michael Armitage davanti a una sua opera in esposizione all'Arsenale
Michael Armitage è un  giovane artista keniano che vive tra Nairobi e Londra. I temi delle sue opere riguardano i problemi sociali e politici della società globalizzata.  Armitage  mantiene la memoria  della sua cultura  unita alle esperienze  delle contemporaneità  e sottolinea  la realtà  costituita anche da quelle problematiche sociali  spesso scomode  da rappresentare e che per questo vengono volutamente trascurate.  Il lavoro di Michael   segue  il pensiero  aristotelico  sull’importanza dell’arte (Poetica), il suo valore educativo,  morale, sociale e  per mezzo della tecnica pittorica figurativa guida l’osservatore a leggere in modo analitico e consapevole il contenuto dei suoi quadri: la verità esce  dai confini della tela. Le tele parlano di ricordi personali, di argomenti spiegati, discussi secondo un’ottica aperta alle posizioni occidentali e alle problematiche dell’est Africa  in riferimento  alla storia coloniale  e alle conseguenti responsabilità  soprattutto europee. L’artista si è formato a Londra dove ha ottenuto il BA presso la Slade School of Art nel2007 e MA alla Royal Academy nel 2010. Nelle sue opere egli crea una sincronia  fra le acquisizioni artistiche  della cultura europea e i materiali, le tecniche dell’est Africa. Il materiale usato è costituito dalla corteccia dell’albero lugubo. La scelta rispecchia  il pensiero dell’autore: l’arte non è una riproduzione fine a se stessa, ma riflessione critica, qualcosa di scomodo, non lineare;  come la superficie  della tela è  “imperfetta” così la realtà. L’Africa ha, mantiene  la sua identità pur nel confronto non sempre felice con il resto del mondo. Emanuela Prudenziato
Michael Armitage davanti a una sua opera in esposizione all'Arsenale

martedì 18 giugno 2019

Né Altra Né Questa La sfida al Labirinto in Mnemosine

Né Altra Né Questa    La sfida al Labirinto

Padiglione Italia Arsenale. 58^ Biennale Arte 2019
Venezia 11.05-24.11.2019
Né Altra Né Questa    La sfida al Labirinto
A cura di  Milovan  Farronato
Da sempre il termine labirinto, coniato dai Greci per definire l’architettura cretese, ha rappresentato una sfida  in termini reali e psicologici; l’intrico di sentieri ripreso dai giardinieri italiani per  la realizzazione  di  elaborati, ordinati giardini per il divertimento dei signori  di ville palladiane tra 400-500 a rappresentare la capacità umana di saper risolvere enigmi, problemi matematici, il gusto dell’inatteso, dell’originale, imprevisto. Nel tempo il concetto e la realizzazione del labirinto sono diventati parte integrante dell’esistere quotidiano; ci si perde, ma si può ritrovare la strada giusta, si può costruire qualcosa di nuovo, di sconosciuto. Così Venezia è la concretizzazione architettonica del labirinto che nei secoli ha affascinato e ispirato l'immaginazione di notevoli personalità, tra i quali è degno di essere riportato in questo contesto, Italo Calvino, uno dei più grandi labirintologi contemporanei a detta del matematico Pierre Rosenstiehl. “Venezia, indiscusso centro cartografico del Rinascimento, viene descritta da Calvino come un luogo in cui le carte geografiche sono sempre da rifare dato che i limiti tra terra e acqua cambiano continuamente, rendendo gli spazi di questa città dominati da incertezza e variabilità.” Enrico David (Ancona, 1966), Chiara Fumai (Roma, 1978 - Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961)  significativi artisti italiani interpretano il pensiero di Calvino in "La sfida al labirinto", saggio del 1962, a cui Né altra Né questa si ispira. L’idea della mancanza di punti fermi nella  nostra esistenza viene  visualizzata  da Calvino attraverso l’elaborazione della metafora del labirinto:  tutto ciò che ci circonda  sembra  un intrico  indecifrabile in realtà  è costruito secondo un criterio ben preciso. Allo stesso modo Né Altra Né Questa  propone  una tipologia espositiva di libera interpretazione da parte dello spettatore che diventa parte attiva del percorso nel momento in cui  valuta, decide  senza problemi  la sua osservazione  della mostra; non esiste  l’itinerario corretto o sbagliato, il visitatore interpreta, valuta il suo viaggio all’interno dello spazio espositivo proposto.  Emanuela Prudenziato