La Collezione Cavallini Sgarbi al Castello Estense di
Ferrara dal 3 febbraio al 3 giugno 2018
Sgarbi:
collezionista pubblico e privato.
Sabato 3 febbraio il Castello Estense di
Ferrara ha aperto al pubblico la mostra "La
collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell'Arca a Gaetano Previati. Tesori d'arte per Ferrara." 130 opere tra dipinti e
sculture, dall'inizio del Quattrocento alla
metà del Novecento, raccolte in circa
quaranta anni di collezionismo di Vittorio Sgarbi unitamente alla madre
Caterina "Rina" Cavallini. Elisabetta Sgarbi,
durante la conferenza stampa, ha voluto che questa mostra raccontasse, nel
luogo più rappresentativo
della città di Ferrara, non solo la storia
di una straordinaria impresa culturale, ma anche quella di una famiglia
ferrarese che all'arte ha dedicato tutte le proprie energie. La Collezione Cavallini Sgarbi è una mostra promossa dalla
Fondazione Elisabetta Sgarbi in collaborazione con il Comune di Ferrara e sotto
il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e
della Regione Emilia-Romagna. L’intervento di
Vittorio Sgarbi nella presentazione della mostra ha fatto emergere il piacere del suo collezionare partendo già
dal 1976 con un singolare arricchimento di una biblioteca, già incentivata dal
padre con la collana “rossa” della BUR, con trattati, guide e storie locali,
databili dal 1503 al 1898, per arrivare in seguito a collezionare quadri e
sculture; ciò “poteva essere più divertente che possedere
il libro più raro… la caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha
approdi, è imprevedibile”. Nel saluto Dario Franceschini fa emergere come la
casa-farmacia di Ro Ferrarese sia una sorta di Vittoriale dannunziano; racconta
di aver visto opere in tutte le stanze, compresa la stanza da letto del capo
famiglia Giuseppe per nulla infastidito dell’intruso che gli aveva interrotto
il riposo. Elisabetta Sgarbi, nonostante sia la curatrice della rassegna, ha
palesato il ruolo marginale nel management collezionistico della madre e del
fratello. “Figlia ti voglio scrittrice e casalinga” come recita l’iscrizione
sulla maiolica policroma di Andrea Parini, invece diviene coordinatrice di un
progetto straordinario ed editrice con La
nave di Teseo del prestigioso catalogo della mostra, che vanta un ricco
apparato bio- e bibliografico, nonché schede meticolosamente precise; parecchie
di queste redatte dal noto critico ferrarese Lucio Scardino. Le sale del
Castello Estense si aprono su un capolavoro del Rinascimento italiano, il San
Domenico in terracotta modellato nel 1474 da Niccolò dell'Arca per seguire con pittori ferraresi: Giovanni Battista Benvenuti detto l'Ortolano, Nicolo Pisano, Benvenuto Tisi
detto il Garofalo e della “scuola ferrarese” del XVII sec. Sebastiano Filippi detto il Bastianino, Gaspare Venturini, Ippolito
Scarsella detto lo Scarsellino, Camillo Ricci, Giuseppe Caletti e Carlo Bononi reduce dalla appena conclusa retrospettiva ai
Diamanti. Nell’esaustivo commento che ha fatto Vittorio Sgarbi su tutte le
opere in mostra, un tour che l’ha impegnato per l’intero pomeriggio
affascinando i presenti, non ha trascurato la procace Cleopatra di Artemisia Gentileschi, né un divertente
commento all’allegoria del tempo
di Guido Cagnacci. Compiaciuto
ha sfoggiato il Ritratto di Francesco Righetti di
Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, esposto per anni al Kimbell Art Museum di Fort
Worth, in Texas. A concludere lo
straordinario percorso critico sulle opere a tema sacro, allegorico e
mitologico con maestri della scuola veneta, emiliana, lombarda, romana, toscana
Vittorio Sgarbi è ritornato ai protagonisti dell’Ottocento e Novecento
ferrarese: Gaetano Previati, Giovanni Boldini, Filippo de
Pisis, Giuseppe Mentessi, Adolfo Magrini, Giovanni Battista Crema, Ugo
Martelli, Augusto Tagliaferri, Carlo Parmeggiani, Arrigo Minerbi. Davanti alla
sconcertante Crocifissione di Gaetano Previati ha messo in risalto l’esecuzione
del soggetto sacro diacronico; significativa la particolare sensibilità di Ulderico
Fabbri, un artista
considerato tra i minori, per una tragedia dell’alluvione del Po: la terracotta
sottolinea l’accorato recupero del corpicino neonato dalle onde del fiume. Vittorio
Sgarbi ha svelato un’immagine intima, compiaciuto di mostrare come Cornelia i
suoi gioielli. Un incontenibile orgoglio nel rendere pubblica la sua collezione
privata. Ha palesato una finalità nobile, non egoistica, né privatista del
collezionista, ma il desiderio di rendere compartecipi quanti vorranno
abbeverarsi in tanta arte e condividere nel contempo l’amore per il bello, non
desueto tra gli amanti della cultura. Soffermandosi a disquisire sulle opere,
una dopo l’altra, senza tralasciarne alcuna, ha rapito l’attenzione dei
presenti per un intero pomeriggio. Non ha perso la verve con un’aneddotica
pregna di sentimenti familiari quando, spossato si è seduto sulla poltrona del
padre, accanto alla sorella Elisabetta, ha proferito “ora siamo rimasti noi
due”. Momento di laica religiosità rivolto
alle figure parentali scomparse che in un contesto già carico di
emotività ha tolto a Vittorio la patina di un cinismo d’immagine. Ha in seguito
accarezzato con lo sguardo e le parole l’esiguo, ma significativo, campione di
libri in mostra: la tacita rivelazione emotiva dell’accaparramento dello
scibile. Credo di aver intuito che il collezionismo di Vittorio è lungi
dall’essere un mero accumulo privato, ma raccolta da esibire; quindi un
collezionismo pubblico, inusuale per mala
tempora. Alla stregua della Dea di
Morgantina che ritorna nei luoghi d’origine sulle rive del lago di Pergusa,
per analogia anche la raccolta Sgarbi doveva stabilirsi ad appagarsi nell’humus
della città metafisica. Le stesse opere rifulgono di maggior splendore nei
luoghi d’origine; c’è un legame cromosomico con la terra che le ha generate: Boccaccio
Boccaccino, rifugiatosi a Cremona dopo l’uxoricidio, è inequivocabilmente
ferrarese; la terra natia, lungo l’Eufrate
padano, disegna inconfondibili fisiognomiche, posture, pennellate e colpi di
scalpello: Tesori d’arte per Ferrara.
Parallela alle opere esposte, come il un binario, la galleria dei ritratti di
famiglia, degli spiriti artistici: un
percorso d’affetti che conclude la rassegna con la stanza dei giochi: il
cavalluccio di legno, il bambolo grande, l’automobilina di latta; il recupero
di attaccamenti gozzaniani, intimi, che segnano la prima collezione del cuore.
Vincenzo
Baratella
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