mercoledì 19 dicembre 2018

Sulle tracce di Antonio Mastropietro di Antonio Scarpone, in Mnemosine

A Rovigo, sulle tracce di Antonio Mastropietro

di Antonio Scarpone


Elio, il Direttore del nostro amato mensile, mi chiese di rintracciare l’eredità che il pittore e scultore Antonio Mastropietro aveva lasciato a Rovigo, dove era nato il 9 novembre 1948, da padre salernitano, di Controne (opera “Paesaggio del Cilento”, foto in basso), e madre leccese.
Passò un po’ di tempo allorquando io e il mio amico Francesco andammo a visitare una mostra di quadri russi ad Adria, “C’era una volta in Russia – Il Realismo Socialista nella pittura sovietica”, molto bella, praticamente la collezione privata di Vittorio Tomasin, del quale mi colpì l’enfasi, la competenza e la pazienza. Qui colsi la palla al balzo: mi decisi, quando ormai aveva esaurito tutte le spiegazioni, a chiedere se, per caso, avesse conosciuto Antonio Mastropietro. Avevo fatto subito centro! Me ne parlò benissimo e mi diede ottime indicazioni su chi avrebbe potuto darmi maggiori delucidazioni intorno alla figura di Mastropietro. Ancora una volta, però, passò del tempo prima che mi dessi da fare per colmare questo vuoto. Quando mi sono finalmente deciso a portare a termine l’impegno preso, mi sono recato da uno dei possibili informatori che mi era stato indicato, ovvero allo “Studio Arte Mosè”: qui ho incontrato il prof. Vincenzo Baratella (alla mia sinistra nella foto sotto), che era stato amico fraterno del Mastropietro, e che ha ancora ben presente la sua figura tanto da definirlo “amico fraterno” e di averne “un ottimo ricordo, amico eccezionale, che, purtroppo, Rovigo non ha più ricordato”.
Mastropietro era un artista silenzioso, non un gallerista: non amava confrontarsi”, questo anche per “il suo carattere introverso, tutt’altro che loquace, cosa che non lo portò ad avere grandi legami affettivi, al di fuori di quello quasi morboso con sua madre”. Il suo non era un caratteraccio, bensì una difficoltà alla relazione, che troviamo anche in grandi artisti che a una notevole personalità hanno affiancato tormentate vicende esistenziali, come Van Gogh e Ligabue.

Qui Vincenzo spezza, però, subito una lancia in suo favore, con un altro aneddoto che avrà una grande importanza nel saldare la loro amicizia. Tutto ruota proprio intorno a una sua opera, la “Dormiente” (sotto la foto dell’opera), che un facoltoso rodigino voleva acquistare, per la quale l’artista chiedeva un milione (c’era ancora la lira!), mentre questi gli offrì dapprima 800mila lire, quindi 600mila lire al che, stufo di tanto mercanteggiare, Mastropietro rivolgendosi a Vincenzo gli disse “portatela via tu, perché quello è un farabutto!” e da allora è l’opera della sua collezione a cui è più legato (è stata anche l’immagine di copertina del pieghevole della mostra che poi gli dedicherà), oltre a due suoi acquerelli.
Ha lavorato molto a Rovigo, dove aveva aperto il “Circolo artistico l’incontro”, poi trasformato in galleria “L’incontro”, nel Palazzo Dazi, dove sono passati grandi artisti che ancora oggi sono in voga, come il maestro Luigi Marcon, Edi Brancolini (mostre a “Casa Michelangelo” e a “Ca’ Ghironda”), Carlo Zoli (ora negli USA), Vico Calabrò (anche illustratore di testi) e Impero Nigiani. Ed è proprio in occasione dell’inaugurazione di una mostra di quest’ultimo, presso lo Studio di Vincenzo, dal titolo “Don Quijote”, una personalissima lettura dell’artista del “Don Chisciotte”, occasione in cui incontro il famoso critico d’arte Lucio Scardino, il quale mi racconta che l’artista Antonio Torresi, di Firenze, restauratore della pietra dura, fu chiamato anch’egli a Rovigo, nel 1984, dallo stesso Mastropietro, e gli aveva confidato che mai avrebbe immaginato di trovarvi un notevole fermento artistico e questo anche grazie alla galleria “L’incontro”!

Vincenzo conferma, poi, che il Mastropietro, allora, il più delle volte veniva sfruttato, tanto che in quel periodo molte sue opere le svendeva, poiché nessuno le teneva nella giusta considerazione né aveva qualcuno che lo supportasse. Eppure per tutti era il Mastro (come ricordato dalla poetessa Teresina Giuliana Pavan nella sua lirica che gli ha dedicato, poiché in lui “pulsava l’innato germe della creatività” e “un’acuta sensibilità”), il silenzioso signore della porta accanto, e, da accanito fumatore qual era, tutti lo ricordano davanti alla vetrina del suo studio (opera “Lo studio del pittore”, foto sotto).
Ha, però, vissuto anche momenti di grande gloria, come quando le sue opere sono state esposte alla Fiera Arte di Bologna. Diverse sue opere sono state esposte in entrambe le Mostre organizzate dallo stesso Mastropietro e da Vincenzo al “Salone del grano” della Camera di Commercio di Rovigo (opere di oltre 150 artisti), ma poi la Sala fu  dichiarata inagibile e, nonostante il grande successo, la Mostra non fu più riproposta.

Antonio Mastropietro si diplomò all’Istituto “Dosso Dossi” di Ferrara, ma non si specializzò mai per fare l’insegnante. Lui era nato per fare l’artista e viveva per l’arte, a cui dedicava tutto se stesso. Indefesso nonché integerrimo lavoratore, ha praticato tutte le tecniche, pur privilegiando la scultura (amava sintetizzare le figure) e qui Vincenzo racconta un aneddoto: «Quando andavamo alla fornace [a Grignano Polesine] Mastro portava le opere in argilla secca, cruda, per farla cuocere assieme ai laterizi della ditta… La cottura del biscotto (così si chiama) era la stessa sia per temperatura, sia per tempi. Lì alla ditta prelevata argilla fresca, privata da impurità, e per essere tale era stata già lavorata e trafilata, trasformata in bimattoni crudi, i mattoni da costruzione ancora da passare ai forni. La materia, argilla, non costa e gli veniva regalata. Essendo umida, fangosa, malleabile, dovevamo avvolgerla in teli o sacchi di nylon sia per non sporcare il baule, sia per mantenerla fresca da lavorare, per giorni, per mesi… è come fango, limo. Prelevare argilla e portare le opere era questo l’andare e venire. Le sculture da “cucinare” erano asciutte, il “limo” era ben secco altrimenti rischiava di rompersi ad alte temperature. Per ringraziare la ditta sia per l’argilla fresca, sia per la cottura dei lavori, Mastro donava un disegno o una scultura stessa. Era molto generoso». Le sue sculture raffigurano immagini che ricordano le opere marmoree di Henry Moore (sotto un disegno preparatorio di una sua scultura).
Animo sensibile e gentile, introverso, attore interiore, amante delle avanguardie artistiche”. L’ultimo ricordo di Vincenzo è il fatto che fu inviso a molti, tanto che soleva ripetere “Rovigo mi ha chiuso le porte, mi sento solo” tanto che morì in solitudine il 2 marzo 1996, a soli 48 anni, trovato davanti alla televisione dal nipote Eugenio Malaspina, figlio della sorella.

Il prof. Vincenzo Baratella è stato l’unico a ricordarlo nel decennale della dipartita, con una retrospettiva a lui dedicata, presso il suo Studio (nella foto sotto la prof.ssa Emanuela Prudenziato che presenta alcune opere all’inaugurazione della mostra, il 13 ottobre 2007). Negli ambienti artistici rodigini, comunque, è ancora oggi ricordato per le sue grandi qualità artistiche e questo può essere un vanto per Controne, suo paese d’origine, al quale rimase sempre legato. [Antonio Scarpone.©]



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