giovedì 19 aprile 2018

TONI ZARPELLON, Ricerca di silenzi e di anime, in Mnemosine


Studio Arte Mosè
Toni Zarpellon: personale e Catalogo 2009-2011
Ricerca di silenzi e di anime
         Presso lo Studio Arte Mosè, Vincenzo Baratella ha presentato il nuovo Catalogo 2009-2011 e la personale di Toni Zarpellon, un artista veneto che emerge nel panorama farraginoso di correnti e di stili. Nel 2011, nell’ambito degli eventi collaterali della Biennale 54 di Venezia, il pittore aveva avuto uno spazio interamente dedicato alle sue cento teste di donna alla Scuola Grande dei Carmini, istituto in cui aveva insegnato.
         Vincenzo Baratella, critico che si muove con grande competenza nel mondo dell’arte contemporanea, autore del recente saggio La fatina per Pinocchio c’è sempre, è riuscito a portare Zarpellon, per la terza volta, nella sua galleria-accademia, dove si vivono momenti di bellezza e d’amicizia, di studio e di ricerca.
Pittore, scultore, incisore, poeta, Zarpellon, sorridente e felice, si perde nella narrazione, se entra in sintonia con i suoi interlocutori. Nato a Bassano nel 1942, ha scelto come soggetto i prati con le mucche, i fiori, i boschi, le rocce e la gente della sua terra, riuscendo a catturarne la luce e i colori, i drammi e i segreti. Le tonalità dei fiori – nota Zarpellon – superano ogni tavolozza. I suoi sono paesaggi essenziali di poche linee curve, sono un’esplosione di verde, violetto, indaco, giallo, arancione, rosso carminio. Gli ultimi sembrano tendere all’informale, ma – afferma Baratella – sono invece iperrealistici. E la donna-natura, inserita nel paesaggio, è anch’essa albero, fiore, cielo nei pungenti occhi azzurri di Raffaella, capaci di distrarre l’attenzione dal corpo nudo al volto, poiché oggetto d’indagine non è il corpo ma l’anima.
Zarpellon all’auto preferisce il treno, non ha una mail ma solamente un numero di cellulare. L’amore per la solitudine e il silenzio l’hanno portato nelle cave di Rubbio, allora abbandonate da cinquant’anni a mille metri di altezza, fra Conco, Marostica e Bassano. Da quel paradiso lo sguardo si perde fino alla laguna di Venezia, alle Pale di San Martino e al Lagorai, giù fino agli Appennini.
L’artista voleva rompere la gabbia mortificante dello zoo in cui siamo rinchiusi e riscoprire gli spazi aperti. Voleva uscire dal nichilismo e dai messaggi di morte del nostro tempo. Le sue sono riflessioni filosofiche che si spingono a considerare la crisi dei giovani senza futuro come un’implosione. Voleva uscire dalle gallerie, come fecero gli impressionisti. Ora nelle gallerie è rientrato ma consapevole dell’autonomia del pensiero. Forse, neppure lì, fra gli alberi e le rocce dell’altipiano, Zarpellon ha trovato il silenzio, poiché le cave sono diventate la meta di un pellegrinaggio continuo di persone, come lui in cerca d’infinito, ma è riuscito a portare l’arte nella natura, in una galleria fra prati e cielo. I primi, pensava andassero per funghi.
Il male di vivere – dice – non si cura con la chimica ma con la forza interiore che nasce dagli spazi di queste montagne. E’ felice di condividere lo stupore del silenzio e dell’arte, con un messaggio di salvezza oltre le vicende personali.
Dal 1989 sono state più di 400 mila le persone salite per vedere la cava dipinta, la cava abitata dai serbatoi vuoti delle auto, trasformati in volti mostruosi, e la cava laboratorio che ha pensato per i bambini e ripulito dal pietrisco con una carriola. Zarpellon racconta di canti e nidi d’uccelli e d’insetti nei serbatoi, di vita nata dalla morte, del vento la sera che dà voce lugubre a quei mascheroni.
         E’ un ritorno alla pittura rupestre, agli occhi dell’animismo primitivo, per giungere ai serbatoi dipinti, simbolo della civiltà dei consumi, dell’uomo crocifisso dalla macchina. La storia dell’uomo-artista è tutta in queste cave.
         Per Zarpellon, l’arte è dramma davanti alla tela bianca, è comunicazione, provocazione, momento di riflessione. Ha disegnato per cento giorni consecutivi se stesso, ha dipinto cento teste di donna, nella ricerca spasmodica dell’anima. Ogni quadro è un’avventura, sta in incubazione per anni, poi una mattina esplode. Quando viene meno la tensione esecutiva, l’opera è finita. Una risposta, sapendo che non sarà mai definitiva.                                                               Graziella Andreotti©
Toni Zarpellon nella Cava dipinta, agosto 2007
Le cento teste 
di donna, personale allo Studio Arte Mosè 1.3.2008
La cava abitata, Rubbio, agosto 2008
La cava dipinta, Rubbio, agosto 2008
Paolo Limiti presenta il catalogo di Toni Zarpellon alla Milano art Gallery. (foto inviata)

Nessun commento:

Posta un commento