sabato 15 settembre 2018

IDOLI. IL POTERE DELL’IMMAGINE a Venezia in Mnemosine

"Venere dell'Oxus" detta "Venere di Ligabue" Civiltà dell'Oxus (2200-1800 a.C.) Collezione Ligabue

IDOLI. IL POTERE DELL’IMMAGINE
Venezia. Palazzo Loredan
dal 15 settembre 2018 al 20 gennaio 2019

A Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze lettere ed Arti, in Campo Santo Stefano a Venezia il 15 settembre 2018 apre al pubblico una straordinaria mostra, fino al 20 gennaio 2019: Idoli. In esposizione oltre 100 reperti dall’Occidente all’Oriente, dal Mediterraneo alla Valle dell’Indo. Inti Ligabue, presidente dell’omonima fondazione, dedica l’impegno, gli sforzi e la realizzazione della rassegna al padre Giancarlo, che ebbe l’intuizione di un comune denominatore tra le diverse religioni monoteiste nella Dea Madre, al femminile, piuttosto di un Dio padre maschile. L’ipotesi fu avvalorata dal rinvenimento delle numerose “Veneri paleolitiche, dove il corpo femminile era sentito come centro di forza divina”. Fu l’inizio della rivoluzione di coscienza; l’uomo “primitivo” (termine improprio alla luce di sempre nuovi studi) attraverso la raffigurazione antropomorfa di idoli, intese fissare l’immagine, eídolon in greco, del divino, dell’eroico, del sentimento, della sessualità, del mito,…e comunque una figurazione dell’anima. Gli idoli denotano la consapevolezza dell’anima nell’uomo già dal IV millennio a.C. Uno dei manufatti, che a giusta ragione può aprire la mostra affascinando lo spettatore è la “Dama dell’Oxus”, un’opera iconica della Battriana del III millennio a.C., acquisita da Giancarlo Ligabue e detta anche “Venere di Ligabue” durante gli studi paleo-archeo-antropologici condotti dall’insigne studioso nell’area del Turkestan afgano. Lo scambio dei materiali, delle informazioni e quindi delle differenti culture legittimano l’idea che popoli non certo “primitivi” non fossero stanziali, né isolati nei villaggi agricoli del neolitico. Le migrazioni e gli scambi commerciali dal bacino del Mediterraneo alle macroaree dell’Oriente e del Medio Oriente hanno fatto rilevare la presenza di materiali non autoctoni, ad esempio il lapis, l’ossidiana, il quarzo ialino, nelle zone di rinvenimento del reperto. E’ sorprendente vedere come, in parti del mondo tra loro lontanissime, si affermino tradizioni e forme di rappresentazioni simili o si ritrovino materiali necessariamente giunti da paesi distanti, eppure già in relazione tra loro: l’ossidiana della Sardegna e dell’Anatolia, i lapislazzuli importati dall’Afghanistan, l’avorio ottenuto dalle zanne degli ippopotami dell’Egitto o delle Coste del Levante. A ragion veduta si può affermare di legami estetici delle forme e nel contempo dell’interscambio d’informazioni non esclusivamente razionali e pratiche. Hanno dato vita alla mostra quattordici opere della Fondazione Ligabue e ottantasei provenienti da collezioni private internazionali e da importanti musei europei: l’Archäologische Sammlung-Universität Zürich, l’Ashmolean Museum of Art and Archaeology– University of Oxford, il Musées Royaux d’Art et d’Historie di Bruxelles, il Monastero Abbaziale Mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, il Badisches Landesmuseum Karlsruhe, il MAN-Museo Arqueológico nacional di Madrid, il Polo Museale della Sardegna–Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, i Musei Civici Eremitani di Padova, il Cyprus Museum a Nicosia e il Musée d’Archéologie Nationale et Domaine National de Saint-Germain-en-Laye. La dottoressa Annie Caubet, archeologa e curatrice onoraria al Musèe du Louvre, ha seguito il progetto scientifico della mostra sottolineando, tra i fattori comuni delle opere, la qualità artistica: “gli individui che realizzarono quelle sculture erano artisti dotati di grande talento, che muovendosi tra il rispetto dei modelli tradizionali e la creazione innovativa, seppero comunque lasciare un segno”. Figure simili all’apparenza, rispondenti a codici iconografici analoghi, sono in realtà ciascuna un unicum nelle proporzioni, nei particolari, nel fascino, grazie al tocco dell’antico esecutore. L’esposizione a Palazzo Loredan raccoglie manufatti provenienti dalle Isole Cicladi, dall’Anatolia Occidentale, dalla Sardegna, dall’Egitto, dalla Spagna, dalla Mesopotamia, dalla Siria. Da questa terra provengono le famose “Dee Madri”: raffigurazioni femminili particolarmente prospere nei seni e nei fianchi, simboli forse del potere della Terra, della Maternità e della Fertilità. In mostra pure gli idoli astratti e geometrici che tanto affascinarono gli artisti del Novecento e i cosiddetti “idoli oculari” o idoli placca nati dalla fascinazione esercitata dall’occhio come espressione della presenza spirituale. Infine nel percorso espositivo si ammira il corpo umano nelle sue forme naturali. Non più esseri dall’identità ambigua, in particolare dal punto di vista del sesso, figure femminili androgine, ma esseri umani. Tutte le statuette in mostra fanno emergere i segni delle ripetute manipolazioni o di riparazioni coeve, ciò dimostra il loro utilizzo costante e di un ruolo chiave negli eventi sociali e religiosi ricorrenti. Sono i custodi di storie e miti di straordinaria suggestione in un mosaico di culture dal IV al II millennio a.C. Sono in mostra importanti esemplari del Museo Archeologico di Nicosia e dell’Età del Bronzo della Civiltà dell’Oxus, sviluppata in Asia centrale, il complesso Battriano-Margiano; significativo il “Drago dell’Oxus”, detto “Lo Sfregiato” per il profondo squarcio che gli deturpa il volto, con il corpo coperto di squame di serpente, forse la controparte selvaggia della principessa Battriana  o “Dama dell’Oxus”. Stefano De Martino, dell’Università di Torino, celebra “il taglio diverso” del catalogo edito da Skira, prettamente scientifico “contro la divulgazione cialtrona” e si sofferma all’analisi di società differenziate nelle macroaree Battriana e Mesopotamia, Asia e Mediterraneo e lungo l’Oxus, ma comuni sotto alcuni aspetti, grazie “all’autostrada di cultura favorita dal mare aperto mediterraneo”. Gli “occhi spalancati” -una tipologia di raffigurazione- dalla Spagna al Medio Oriente e singolari suonatori di arpa -la musica ha un linguaggio comune- sono i protagonisti delle vie della conoscenza che approda fino a noi.  Vincenzo Baratella
Suonatore di Arpa cicladico, Thera (Santorini) Antico CicladicoII (2700-2300 a.C.)
Inti Ligabue, Presidente della fondazione Giancarlo Ligabue presenta la mostra.
Il prof. Stefano De martino (a sinistra) illustra percorso mostra
La  Dott.ssa Annie Caubet (archeologa e curatrice Musée du Louvre)
"Sfregiato" (Così nominato per taglio sul volto) Civiltà dell'Oxus.

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