"Venere dell'Oxus" detta "Venere di Ligabue" Civiltà dell'Oxus (2200-1800 a.C.) Collezione Ligabue
IDOLI. IL POTERE DELL’IMMAGINE
Venezia. Palazzo Loredan
dal 15 settembre 2018 al 20 gennaio 2019
A
Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze lettere ed Arti, in Campo Santo
Stefano a Venezia il 15 settembre 2018 apre al pubblico una straordinaria mostra, fino al 20
gennaio 2019: Idoli. In esposizione
oltre 100 reperti dall’Occidente all’Oriente, dal Mediterraneo alla Valle
dell’Indo. Inti Ligabue, presidente dell’omonima fondazione, dedica l’impegno,
gli sforzi e la realizzazione della rassegna al padre Giancarlo, che ebbe
l’intuizione di un comune denominatore tra le diverse religioni monoteiste nella
Dea Madre, al femminile, piuttosto di un Dio padre maschile. L’ipotesi fu
avvalorata dal rinvenimento delle numerose “Veneri paleolitiche, dove il corpo
femminile era sentito come centro di forza divina”. Fu l’inizio della
rivoluzione di coscienza; l’uomo “primitivo” (termine improprio alla luce di
sempre nuovi studi) attraverso la raffigurazione antropomorfa di idoli, intese
fissare l’immagine, eídolon in greco,
del divino, dell’eroico, del sentimento, della sessualità, del mito,…e comunque
una figurazione dell’anima. Gli idoli denotano la consapevolezza dell’anima
nell’uomo già dal IV millennio a.C. Uno dei manufatti, che a giusta ragione può
aprire la mostra affascinando lo spettatore è la “Dama dell’Oxus”, un’opera
iconica della Battriana del III millennio a.C., acquisita da Giancarlo Ligabue
e detta anche “Venere di Ligabue” durante gli studi paleo-archeo-antropologici
condotti dall’insigne studioso nell’area del Turkestan afgano. Lo scambio dei
materiali, delle informazioni e quindi delle differenti culture legittimano
l’idea che popoli non certo “primitivi” non fossero stanziali, né isolati nei
villaggi agricoli del neolitico. Le migrazioni e gli scambi commerciali dal
bacino del Mediterraneo alle macroaree dell’Oriente e del Medio Oriente hanno
fatto rilevare la presenza di materiali non autoctoni, ad esempio il lapis,
l’ossidiana, il quarzo ialino, nelle zone di rinvenimento del reperto. E’
sorprendente vedere come, in parti del mondo tra loro lontanissime, si
affermino tradizioni e forme di rappresentazioni simili o si ritrovino
materiali necessariamente giunti da paesi distanti, eppure già in relazione tra
loro: l’ossidiana della
Sardegna e dell’Anatolia, i
lapislazzuli importati dall’Afghanistan, l’avorio ottenuto dalle
zanne degli ippopotami dell’Egitto o delle Coste del Levante. A ragion veduta si può affermare di legami estetici
delle forme e nel contempo dell’interscambio d’informazioni non esclusivamente
razionali e pratiche. Hanno dato vita alla mostra quattordici opere della
Fondazione Ligabue e ottantasei provenienti da collezioni
private internazionali e da importanti
musei europei: l’Archäologische Sammlung-Universität Zürich, l’Ashmolean
Museum of Art and Archaeology– University of Oxford, il Musées Royaux d’Art et
d’Historie di Bruxelles, il Monastero Abbaziale Mechitarista
dell’isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, il Badisches
Landesmuseum Karlsruhe, il MAN-Museo Arqueológico nacional di Madrid, il
Polo Museale della Sardegna–Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, i Musei
Civici Eremitani di Padova, il Cyprus Museum a Nicosia e il Musée
d’Archéologie Nationale et Domaine National de Saint-Germain-en-Laye. La dottoressa Annie Caubet, archeologa e
curatrice onoraria al Musèe du Louvre, ha seguito il progetto scientifico della
mostra sottolineando, tra i fattori comuni delle
opere, la qualità artistica: “gli
individui che realizzarono quelle sculture erano artisti dotati di grande
talento, che muovendosi tra il rispetto dei modelli tradizionali e la creazione
innovativa, seppero comunque lasciare un segno”. Figure simili
all’apparenza, rispondenti a codici iconografici analoghi, sono in realtà
ciascuna un unicum nelle proporzioni, nei particolari, nel fascino,
grazie al tocco dell’antico esecutore. L’esposizione a Palazzo Loredan raccoglie
manufatti provenienti dalle Isole Cicladi, dall’Anatolia Occidentale, dalla
Sardegna, dall’Egitto, dalla Spagna, dalla Mesopotamia, dalla Siria. Da questa
terra provengono le famose “Dee Madri”:
raffigurazioni femminili particolarmente prospere nei seni e nei
fianchi, simboli forse del potere della Terra, della Maternità e della
Fertilità. In mostra pure gli idoli
astratti e geometrici che tanto affascinarono gli artisti del Novecento e i cosiddetti “idoli oculari” o idoli placca nati dalla
fascinazione esercitata dall’occhio come espressione della presenza spirituale. Infine nel percorso espositivo si
ammira il corpo umano nelle sue forme
naturali. Non più esseri dall’identità ambigua, in particolare dal punto
di vista del sesso, figure femminili androgine, ma esseri umani. Tutte le statuette in mostra fanno
emergere i segni delle ripetute manipolazioni o di riparazioni coeve, ciò
dimostra il loro utilizzo costante e di un ruolo chiave negli eventi sociali e
religiosi ricorrenti. Sono i custodi di storie
e miti di straordinaria suggestione in un mosaico di culture dal IV al II millennio a.C. Sono in mostra
importanti esemplari del Museo Archeologico di Nicosia e dell’Età del Bronzo della Civiltà dell’Oxus, sviluppata in
Asia centrale, il complesso Battriano-Margiano; significativo il “Drago dell’Oxus”, detto “Lo Sfregiato” per il profondo
squarcio che gli deturpa il volto, con il corpo coperto di squame di serpente, forse
la controparte selvaggia della principessa Battriana o “Dama
dell’Oxus”. Stefano De Martino, dell’Università di Torino, celebra “il
taglio diverso” del catalogo edito da Skira, prettamente scientifico “contro la
divulgazione cialtrona” e si sofferma all’analisi di società differenziate nelle
macroaree Battriana e Mesopotamia, Asia e Mediterraneo e lungo l’Oxus, ma comuni
sotto alcuni aspetti, grazie “all’autostrada di cultura favorita dal mare
aperto mediterraneo”. Gli “occhi spalancati” -una tipologia di raffigurazione- dalla
Spagna al Medio Oriente e singolari suonatori di arpa -la musica ha un
linguaggio comune- sono i protagonisti delle vie della conoscenza che approda
fino a noi. Vincenzo Baratella
Suonatore di Arpa cicladico, Thera (Santorini) Antico CicladicoII (2700-2300 a.C.)
Inti Ligabue, Presidente della fondazione Giancarlo Ligabue presenta la mostra.
Il prof. Stefano De martino (a sinistra) illustra percorso mostra
La Dott.ssa Annie Caubet (archeologa e curatrice Musée du Louvre)
"Sfregiato" (Così nominato per taglio sul volto) Civiltà dell'Oxus.
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