A
Rovigo, sulle tracce di Antonio Mastropietro
di
Antonio Scarpone
Elio,
il Direttore del nostro amato mensile, mi chiese di rintracciare l’eredità che il
pittore e scultore Antonio Mastropietro
aveva lasciato a Rovigo, dove era nato il 9 novembre 1948, da padre
salernitano, di Controne (opera “Paesaggio
del Cilento”, foto in basso), e madre leccese.
Passò un po’ di tempo allorquando io e il mio amico
Francesco andammo a visitare una mostra di quadri russi ad Adria, “C’era una volta in Russia – Il Realismo
Socialista nella pittura sovietica”, molto bella, praticamente la
collezione privata di Vittorio Tomasin,
del quale mi colpì l’enfasi, la competenza e la pazienza. Qui colsi la palla al
balzo: mi decisi, quando ormai aveva esaurito tutte le spiegazioni, a chiedere
se, per caso, avesse conosciuto Antonio Mastropietro. Avevo fatto subito
centro! Me ne parlò benissimo e mi diede ottime indicazioni su chi avrebbe
potuto darmi maggiori delucidazioni intorno alla figura di Mastropietro. Ancora
una volta, però, passò del tempo prima che mi dessi da fare per colmare questo
vuoto. Quando mi sono finalmente deciso a portare a termine l’impegno preso, mi
sono recato da uno dei possibili informatori che mi era stato indicato, ovvero
allo “Studio Arte Mosè”: qui ho
incontrato il prof. Vincenzo Baratella (alla mia sinistra nella foto
sotto), che era stato amico fraterno del Mastropietro, e che ha ancora ben
presente la sua figura tanto da definirlo “amico
fraterno” e di averne “un ottimo
ricordo, amico eccezionale, che, purtroppo, Rovigo non ha più ricordato”.
“Mastropietro
era un artista silenzioso, non un gallerista: non amava confrontarsi”,
questo anche per “il suo carattere
introverso, tutt’altro che loquace, cosa che non lo portò ad avere grandi
legami affettivi, al di fuori di quello quasi morboso con sua madre”. Il
suo non era un caratteraccio, bensì una difficoltà alla relazione, che troviamo
anche in grandi artisti che a una notevole personalità hanno affiancato
tormentate vicende esistenziali, come Van Gogh e Ligabue.
Qui
Vincenzo spezza, però, subito una lancia in suo favore, con un altro aneddoto
che avrà una grande importanza nel saldare la loro amicizia. Tutto ruota
proprio intorno a una sua opera, la “Dormiente”
(sotto la foto dell’opera), che un facoltoso rodigino voleva acquistare, per la
quale l’artista chiedeva un milione (c’era ancora la lira!), mentre questi gli
offrì dapprima 800mila lire, quindi 600mila lire al che, stufo di tanto
mercanteggiare, Mastropietro rivolgendosi a Vincenzo gli disse “portatela via tu, perché quello è un
farabutto!” e da allora è l’opera della sua collezione a cui è più legato
(è stata anche l’immagine di copertina del pieghevole della mostra che poi gli dedicherà),
oltre a due suoi acquerelli.
Ha
lavorato molto a Rovigo, dove aveva aperto il “Circolo artistico l’incontro”, poi trasformato in galleria “L’incontro”, nel Palazzo Dazi, dove
sono passati grandi artisti che ancora oggi sono in voga, come il maestro Luigi
Marcon, Edi Brancolini (mostre a “Casa Michelangelo” e a “Ca’ Ghironda”), Carlo
Zoli (ora negli USA), Vico Calabrò (anche illustratore di testi) e Impero Nigiani.
Ed è proprio in occasione dell’inaugurazione di una mostra di quest’ultimo,
presso lo Studio di Vincenzo, dal titolo “Don
Quijote”, una personalissima lettura dell’artista del “Don Chisciotte”, occasione
in cui incontro il famoso critico d’arte Lucio
Scardino, il quale mi racconta che l’artista Antonio Torresi, di Firenze, restauratore della pietra dura, fu
chiamato anch’egli a Rovigo, nel 1984, dallo stesso Mastropietro, e gli aveva
confidato che mai avrebbe immaginato di trovarvi un notevole fermento artistico
e questo anche grazie alla galleria “L’incontro”!
Vincenzo conferma, poi, che il Mastropietro, allora,
il più delle volte veniva sfruttato, tanto che in quel periodo molte sue opere
le svendeva, poiché nessuno le teneva nella giusta considerazione né aveva
qualcuno che lo supportasse. Eppure per tutti era il Mastro (come ricordato
dalla poetessa Teresina Giuliana Pavan
nella sua lirica che gli ha dedicato, poiché in lui “pulsava l’innato germe della creatività” e “un’acuta sensibilità”), il silenzioso signore della porta accanto,
e, da accanito fumatore qual era, tutti lo ricordano davanti alla vetrina del
suo studio (opera “Lo studio del pittore”,
foto sotto).
Ha, però, vissuto anche momenti di grande gloria,
come quando le sue opere sono state esposte alla Fiera Arte di Bologna. Diverse
sue opere sono state esposte in entrambe le Mostre organizzate dallo stesso
Mastropietro e da Vincenzo al “Salone del grano” della Camera di Commercio di
Rovigo (opere di oltre 150 artisti), ma poi la Sala fu dichiarata inagibile e, nonostante il grande
successo, la Mostra non fu più riproposta.
Antonio Mastropietro si diplomò all’Istituto “Dosso Dossi” di Ferrara, ma non si
specializzò mai per fare l’insegnante. Lui era nato per fare l’artista e viveva
per l’arte, a cui dedicava tutto se stesso. Indefesso nonché integerrimo
lavoratore, ha praticato tutte le tecniche, pur privilegiando la scultura
(amava sintetizzare le figure) e qui Vincenzo racconta un aneddoto: «Quando andavamo alla fornace [a Grignano Polesine]
Mastro portava le opere in argilla secca, cruda, per farla cuocere assieme ai
laterizi della ditta… La cottura del biscotto (così si chiama) era la stessa
sia per temperatura, sia per tempi. Lì alla ditta prelevata argilla fresca,
privata da impurità, e per essere tale era stata già lavorata e trafilata,
trasformata in bimattoni crudi, i mattoni da costruzione ancora da passare ai
forni. La materia, argilla, non costa e gli veniva regalata. Essendo umida,
fangosa, malleabile, dovevamo avvolgerla in teli o sacchi di nylon sia per non
sporcare il baule, sia per mantenerla fresca da lavorare, per giorni, per mesi…
è come fango, limo. Prelevare argilla e portare le opere era questo l’andare e
venire. Le sculture da “cucinare” erano asciutte, il “limo” era ben secco
altrimenti rischiava di rompersi ad alte temperature. Per ringraziare la ditta
sia per l’argilla fresca, sia per la cottura dei lavori, Mastro donava un
disegno o una scultura stessa. Era molto generoso». Le sue sculture
raffigurano immagini che ricordano le opere marmoree di Henry Moore (sotto un disegno preparatorio di una sua scultura).
“Animo sensibile e gentile, introverso,
attore interiore, amante delle avanguardie artistiche”. L’ultimo ricordo di
Vincenzo è il fatto che fu inviso a molti, tanto che soleva ripetere “Rovigo mi ha chiuso le porte, mi sento solo”
tanto che morì in solitudine il 2 marzo 1996, a soli 48 anni, trovato davanti
alla televisione dal nipote Eugenio Malaspina, figlio della sorella.
Il
prof. Vincenzo Baratella è stato l’unico a ricordarlo nel decennale della
dipartita, con una retrospettiva a lui dedicata, presso il suo Studio (nella
foto sotto la prof.ssa Emanuela Prudenziato che presenta
alcune opere all’inaugurazione della mostra, il 13 ottobre 2007). Negli
ambienti artistici rodigini, comunque, è ancora oggi ricordato per le sue
grandi qualità artistiche e questo può essere un vanto per Controne, suo paese
d’origine, al quale rimase sempre legato. [Antonio Scarpone.©]